Diego Fusaro: “Vogliono renderci servi della gleba”, l’ incontro col filosofo che denuncia l’”Imperialismo glamour”

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A cura di Silvio Fasano

  Una cosa è certa: Diego Fusaro, nonostante la giovane età, è già entrato, seppure con tratti gentili e lessico inappuntabile, nella storia del dibattito filosofico, politico e culturale italiano. “Fortiter in re, suaviter in modo”, linguaggio flemmatico e toni veementi ed incisivi. Personalità mediaticamente fastidiosa per molti ma assai piacevole e di stimolo per tantissimi altri, ma sui cui interventi, in ogni caso,  difficilmente si può sorvolare per la profondità dei temi e l’originalità della visione provocatoria, Fusaro ha presentato a Villanova d’Albenga, al Salone dei Fiori, dove lo abbiamo incontrato – su invito del Sindaco della piccola ma attiva comunità dell’entroterra savonese, Pietro Balestra, e dell’operoso Valerio Favi – il suo recente e piccantissimo parto letterario, “Glebalizzazione”. Un libro raffinato, che si nutre di una disciplina, riesumata da Migliorini nei suoi tratti distintivi,  che Diego coltiva ormai da tempo e con successo: l’onomaturgia, tecnica linguistica creativa di parole nuove ed efficaci. E il giovane filosofo – onomaturgo , classe 1983, di composti ormai diffusi ne ha generati in quantità: dall’ormai celebre “Turbocapitalismo”, agli “Egomostri”, agli “Euroinomani”, alla “Glebalizzazione”, appunto. Tanto da farci suggerire l’opportunita’ e l’indubbia consistenza scientifica di sdoganarne un altro, questa volta nostro, di neolemma: teorizzando la novita’ epistemologica del “fusarese”, gergo colto e battagliero dotato di autonomia e caratteri semantici tutti da approfondire e su cui costruire almeno cinquanta tesi di laurea. L’impianto di base del pensiero di Diego Fusaro è chiaro: il sistema globale, con le sue contraddizioni evidenti e le sue ingiustizie universali, è la maschera che copre un nuovo genere di imperialismo, di “civiltà dell’hamburger” (altro pertinente neologismo), che in definitiva conduce, se non puntualmente denunciato e contrastato, ad un mondo nel quale gli schiavi (le masse oppresse della “servitù della gleba” nella società medievale accuratamente scandagliata da Le Goff) amano le proprie catene e tendono a pensare che i propri padroni, alla fine, siano meglio di altri, accettandone passivamente egemonia ed angherie. Il tutto, come non bastasse, confermato, secondo il filosofo, dalla gestione da “dittatura terapeutica” della recente crisi epidemica, che allena cervelli impigriti ad obbedire acritici ad ogni limitazione di libertà, in spregio a valori costituzionali e contrappesi giuridici ordinari. Che, proprio in nome dello “stato di eccezione” schmittiano, abituano le masse, il nuovo morfema del proletariato (che per Fusaro assume anche i tratti, ad esempio, delle partite IVA, denigrate dal sistema come evasori cronici nel disegno di colpevolizzazione collettiva funzionale all’accentramento di poteri dei “Dominanti” in club inaccessibili, impersonali e neppure criticabili). Nel libro, “Glebalizzazione”, si tratteggiano natura, caratteri e conseguenze possibili di questo oscuro, ma nemmeno troppo, progetto graduale di disintegrazione di memoria, radici ed anticorpi sociali, ma si disegnano anche – con un richiamo al realismo pragmatico che ci sembra evocare uno dei maestri di Diego, mai sufficientemente ricordato, il compianto filosofo torinese  Costanzo Preve –  strategie di denuncia e di contrasto, individuali e collettive, su cui costruire una barriera efficace, un Vallo di Adriano morale e partecipativo, su cui è bene, in ogni caso,  riflettere con serietà. È molto facile, ma riduttivo ed inadeguato, inserire i teoremi fusariani in inflazionate e stantie categorizzazioni come sovranismo, complottismo, neomarxismo di scuola. L’originalità dell’impianto, e del suo substrato ricco di riferimenti alla storia filosofica occidentale, ne fa un unicum teoretico e politico, per novità ed aggancio incessante al presente. “Glebalizzazione”, con l’eloquente sottotitolo “La lotta di classe al tempo del populismo”, è edito da Rizzoli. Un libro da non perdere.